DI GIANPAOLO MARCUCCI
La coscienza è il suo contenuto. Non esiste un contenitore reale delle nostre rappresentazioni mentali. Tali rappresentazioni “sono” la coscienza, esattamente come i riquadri dipinti in questa immagine “sono” il volto dell’uomo che sembra apparire disegnato.
Osservando bene, non c’è nessun volto ma solo un insieme di rappresentazioni.
Viviamo la convinzione di esistere in quanto individui e per questo ci danniamo per millenni. Apriamo gli occhi e comprendiamo che la forma che vediamo delimitarci è solo un gioco di luci e ombre, uno spettacolo spontaneo, una recita senza attori nella meraviglia sconfinata del teatro di Dio.
‘Si è esaltata la libertà come punto di riferimento assoluto, sorgente di ogni valore. Si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente sul bene e sul male. All’affermazione del dovere di seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l’affermazione che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla coscienza. Un ‘accordo con se stessi’ tanto da giungere ad una concezione radicalmente soggettiva del giudizio morale’(G.P.II). La deriva è ‘solo io sono giudice di me stesso’. Già Hegel confutava Kant che presupponeva una ragione uguale per tutti gli Uomini e finiva per sottovalutare il ruolo della tradizione, dell’ambiente sociale, dell’esperienza individuale. Poi la psicanalisi ci dice che la coscienza non è oggettiva, cristallina, perché soggetta all’inconscio, alle nostre ombre. Ma se non si lavora per riconosce un valore condiviso, un’idea universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, il più debole soccomberà sempre e si giunge alle barbarie.